Macbettu valica i confini della Scozia medievale per riprodurre un orizzonte ancestrale: la Sardegna come terreno di archetipi, luogo di pulsioni dionisiache. La riscrittura del testo operata dal regista, trasferita poi in lingua sarda da Giovanni Carroni, guarda a una interpretazione sonora: gli attori sulla scena – uomini, come da tradizione elisabettiana – decantano una lingua che è pura sonorità, si allontanano dal giogo dei significati per magnificare il senso. Il risultato è uno spettacolo colmo di una meraviglia cupa, in grado di utilizzare elementi della tradizione, senza tuttavia fermarsi a una contemplazione statica, ma utilizzando i segni in modo schiettamente contemporaneo, quindi ambiguo, tragico, affascinante.